venerdì 12 febbraio 2010

Tirando le somme

Mercoledì 2 settembre 2009 ho scritto il primo post su questo blog, dichiarando che il motivo per il quale mi ero finalmente decisa ad aprirne uno era stato "accademico".
Definizione a dir poco sibillina!
La vera verità è che è stato creato principalmente come "compito" per un esame di "Informatica applicata al giornalismo".
Probabilmente se non avessi avuto questa spinta non avrei mai iniziato a tenere un blog, benchè fosse una cosa che mi affascinava da tempo.
Da tempo avevo anche deciso che, se mai ne avessi creato uno, l'avrei chiamato "L'andazzo generale", che è il titolo di una canzone che adoro e un modo di dire che mi ha sempre dato l'idea di essere un pò come aprire una finestra sul mondo, guardarsi intorno e vedere che cosa succede. Qual è l'andazzo generale, appunto.

Ed eccomi qui.

Inizialmente pensavo che avere un blog potesse essere troppo impegnativo, che interagire con lui portasse via molto tempo e, soprattutto, che per me fosse difficile tenerlo aggiornato.
In effetti è stato in parte così, non sono sempre stata molto presente su queste pagine, a volte ho lasciato passare diversi giorni prima di ricomparire. Però ogni volta che ho desiderato condividere qualcosa, un film, un articolo, un sentimento, ho scritto con una semplicità che non avrei mai pensato si sarebbe realizzata.

Dopo le litigate iniziali, in questi mesi ho imparato a interagire con Blogspot; non è difficile, direte voi, però vi garantisco che quando si mette in testa una cosa è difficile farlo ragionare!
Comunque ho capito che la tecnologia non è sempre così complicatamente incomprensibile e malvagia e ho persino creato un account Twitter. Vamolà!

Soprattutto, però, mi sono divertita. Quando cercavo i video o le foto da aggiungere ai post, quando leggevo i quotidiani on-line e altri blog tantando di scovare notizie particolarmente interessanti da riportare su queste pagine, l'ho fatto divertendomi.
Ho raccontato anche un pò di me, e mi è piaciuto.

Questo pomeriggio ho l'esame, ma "L'andazzo generale" continuerà ad esserci, a tenere aperta la sua finestra.



Dimenticavo, in relazione al post su "L'uomo che verrà": se avete l'occasione, se scoprite che è nel programma di un teatro nella vostra zona, andate a vedere "Marzabotto", un monologo di Matteo Belli. I testi sono dell'attore e di Carlo Lucarelli, la storia è quella della strage di Marzabotto.

giovedì 11 febbraio 2010

Film della settimana: "L'uomo che verrà"


"L'uomo che verrà", secondo lungometraggio del regista bolognese Giorgio Diritti, racconta i giorni della strage di Marzabotto attraverso gli occhi di una bambina di otto anni, figlia di contadini.

Il 29 settembre 1944 nella zona di Monte Sole, che si trova a una trentina di chilometri a sud di Bologna, le SS scatenarono una rappresaglia senza precedenti, che proseguì nei giorni successivi e mise a ferro e fuoco il territorio. La volontà era quella di annientare i partigiani della Brigata Stella Rossa, che con azioni di guerriglia avevano creato grossi problemi a tedeschi e fascisti.
Ma delle circa 770 persone massacrate, soprattutto nelle giornate del 29 e 30 settembre, la maggior parte furono donne, bambini e anziani, barbaramente trucidati nelle chiese, nei cimiteri, nei casolari.
Questo eccidio rimase nelle storia come "la strage di Marzabotto", dal nome del comune a cui appartiene la maggior parte del territorio.

Così come era accaduto ne "Il vento fa il suo giro", l'opera prima di Giorgio Diritti divenuta un "caso" cinematografico, anche in questo film il regista si serve del dialetto locale per raccontare una comunità e i suoi riti, lo scorrere quotidiano e ordinario della vita e l'arrivo della guerra.
Attraverso gli occhi di Martina vediamo il succedersi delle stagioni, il paesaggio che cambia dalla neve ai colori della primavera, ma allo stesso tempo vi è l'intensificarsi della guerra, le azioni dei partigiani e le rappresaglie dei nazisti.
Fino ad un epilogo tragicamente conosciuto.

E' difficile per me giudicare oggettivamente questo film. Da bolognese, sono sempre stata particolarmente legata alla memoria della strage di Marzabotto, ai luoghi nei quali il film è stato girato, e in particolare a Monte Sole.
Ho sempre amato questo territorio, per la sua natura incontaminata e il suo silenzio; ma proprio questo territorio meraviglioso è stato testimone di una delle pagine più buie della storia.
Ogni 25 aprile è a Monte Sole che vado per ricordare.

"L'uomo che verrà" racconta con verità ed emozione la nostra storia. Il realismo delle immagini di guerra e morte, brutale ma mai ostentato, si mescola alle inquadrature che valorizzano il paesaggio e alla narrazione della quotidianità della vita contadina.

Se "Il vento fa il suo giro" era stata una meravigliosa scoperta, con questo secondo film confermo per il regista la mia ammirazione incondizionata.

sabato 6 febbraio 2010

Film della settimana: "Tra le nuvole"



Premetto che inizialmente pensavo che questo fosse un filmetto, con un George Clooney sempre affascinante e una tematica tristemente attuale (Clooney è un tagliatore di teste), ma nulla di più.

Poi, di "Up in the sky", tradotto in italiano "Tra le nuvole", ho letto recensioni entusiaste.

A onor del vero, erano più le critiche straniere di quelle "nostrane" a parlarne molto bene, e quella di Anthony Lane del "New Yorker" comparsa la settimana scorsa su "Internazionale" mi ha convinta ad andarlo a vedere.

Il regista Jason Reitman ha firmato altri due film che ho visto in passato, ma che non mi hanno entusiasmato: "Thank you for smoking" e "Juno".

Lo stesso giudizio do ora anche a "Tra le nuvole".
Gli attori sono bravi, la storia è originale, la colonna sonora accattivante e la fotografia notevole. Le riprese effettuate dagli aerei e i giochi di forme e colori che si creano quando la terra viene vista da un'altra prospettiva, poi, sono davvero splendide.

Ma non c'è quel "quid" che fa sì che un film travolga lo spettatore, che lo faccia uscire dalla sala pienamente soddisfatto.
Questo "qualcosa" è per me, cinefila accanita, sempre più raro da trovare.
C'è soltanto un film recente che, uscita dal cinema, mi ha dato la certezza di avere appena visto un capolavoro: quell' "Inglourious Basterds" di cui tanto si è parlato.

La ricerca continua...

giovedì 4 febbraio 2010

Brevi aggiornamenti

iMussolini
Leggo sul Corriere che l'applicazione iMussolini, di cui avevo parlato nel post precedente, è stata rimossa.
In seguito alle polemiche che aveva suscitato, alla condanna di un'associazione americana di sopravvissuti alla Shoah e alla denuncia di Cinecittà Luce per uso improprio del suo materiale, la vendita dell'applicazione è stata interrotta.
In una nota, Cinecittà spiega che l'uso strumentale, a fini economici, dei discorsi di Mussolini è altamente diseducativo e, inoltre, del tutto inaccettabile in quanto estrapolato dal contesto dell'analisi complessiva.

Come si chiedeva qualcuno in un commento al mio post: ora si può fare qualcosa anche per Noemi?


Non c'è più Delbono a Bologna
Per quello che riguarda l'affaire Delbono, da me commentato a caldo, dopo le dimissioni ufficiali del sindaco avvenute il 28 gennaio davanti al Consiglio comunale in seguito al voto del bilancio, sono iniziate le ipotesi sul "dopo-Flavio".
Il toto-nomi procede sia nel Pdl che nel Pd, che pensa anche alle primarie.
Inizialmente era stata paventata la possibilità di accorpare le nuove elezioni comunali a quelle regionali del 28 e 29 marzo, e fare le primarie il 14 febbraio.
I cittadini bolognesi, a partire da quelli più famosi come Dalla e Morandi, stanno chiedendo a gran voce che sia Prodi a candidarsi come sindaco per il Pd. Il Professore, gentilmente, ringrazia e rifiuta.

E' invece di ieri la notizia che Bologna non potrà votare a fine marzo perchè le dimissioni di Flavio Delbono sono avvenute oltre il termine utile.
Se il Parlamento lo riterrà opportuno, potrà approvare una modifica all’attuale normativa degli enti locali per far andare Bologna al voto in primavera o in autunno. In assenza di questo intervento legislativo, le elezioni a Bologna slitteranno al 2011 e la città sarà gestita da un commissario per un anno e mezzo.

sabato 30 gennaio 2010

L'arte di raccontare storie

Il 27 gennaio, a San Francisco, Steve Jobs ha presentato l' iPad, il tablet di casa Apple a lungo annunciato e finalmente svelato.
L' ultima creazione della casa di Cupertino ha conquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, che le hanno dedicato articoli approfonditi, e su di essa sono stati espressi giudizi contrastanti.
Nonostante questo, non è dell'iPad che vorrei parlare, bensì del creatore e mentore della Apple: Steve Jobs.

Qualche mese fa, leggevo per la mia tesi un libro di Christian Salmon intitolato "Storytelling - La fabbrica delle storie".
Salmon mostra come l'arte primordiale di raccontare storie sia stata trasformata, a partire dagli anni '90 del Novecento, in America come in Europa, in una potentissima arma di persuasione.
Lo "storytelling" è dunque un capacità narrativa che, posta nelle mani dei guru del marketing e della comunicazione, o in quelle degli spin doctors, è in grado di plasmare le opinioni dei consumatori e dei cittadini.
L'autore svela nel suo libro, frutto di una lunga inchiesta dedicata alle numerose azioni del fenomeno, questo incredibile inganno ai danni dell'immaginario collettivo.

E qui torniamo a Steve Jobs.
Salmon cita il suo discorso agli studenti di Stanford, pronunciato il 12 giugno 2005 in occasione della cerimonia per le lauree, come esempio lampante del fenomeno dello storytelling.

Che Jobs sia un incredibile affabulatore, è sicuro; credo però che, in questo discorso, superi se stesso.
Vedere per credere.






mercoledì 27 gennaio 2010

Di Noemi Letizia e iMussolini

Non bastava il cielo grigio ormai perenne, la neve, il freddo gelido e l'idea dell'ennesima giornata di studio matto e disperato a rendere complicato il mio risveglio.
No, perchè io ho la sanissima abitudine di leggere i quotidiani on-line (Repubblica e Corriere della Sera, principalmente) mentre sorseggio il caffelatte.
Risultato: spesso rischio di rovesciarlo sul computer per i sussulti provocati dalle notizie che mi si parano davanti agli occhi.
Forse dovrei porre fine a tale rito mattutino.
Questo è uno di quei giorni in cui ne sono davvero convinta.

Per farvi capire per quale motivo, sottopongo alla vostra attenzione due articoli che ho appena letto su Repubblica.it.

Il primo è relativo all'applicazione per l'iPhone chiamata iMussolini,
scaricando la quale si possono ascoltare, leggere e vedere tutti i suoi discorsi sul telefonino. E poichè è anche economica (costa solo 79 centesimi), è il secondo programma più scaricato negli Apple Store. Impossibile farne a meno.
Il programma è stato ideato da un imprenditore napoletano venticinquenne che, per evitare troppe polemiche (come l'accusa di apologia del fascismo), sta pensando di crearne uno anche su Gandhi. Per par condicio.

Non ci credete? All'inizio non ci riuscivo nemmeno io, poi ho letto l'articolo.

La seconda notizia riguarda Noemi Letizia, che si sta preparando a fare il suo debutto in Rai.
Dopo le elezioni regionali, però, per evitare scandali sgraditi al premier. E non sulle reti Mediaset, per non suscitare il sospetto che le venga fornita una corsia preferenziale.
Lascio a voi i commenti.


lunedì 25 gennaio 2010

News da Bologna - Nius da Bulàgna

Grandi sconvolgimenti politici si stanno verificando, qui a Bologna City: il sindaco Flavio Delbono, del Partito Democratico, sta per annunciare le sue dimissioni.
Delbono è sotto inchiesta per peculato, abuso d'ufficio e truffa in relazione ad alcuni viaggi fatti quando era vicepresidente della Regione insieme alla ex segretaria ed ex compagna Cinzia Cracchi, pare a spese della Regione stessa.
Travolto dal "Cinzia-gate", come è stato etichettato dai giornali, pare ormai certo che il sindaco darà le sue dimissioni oggi pomeriggio in Consiglio comunale.

Benessum, dicono a Bologna. Fantastico.

Ennesima delusione politica ed ennesima sensazione di avere sprecato un voto.
E io che ero tornata apposta da Lione per votarlo...

Non che conoscessi bene Delbono, ma mi sembrava comunque una persona intelligente, bolognese adottivo da molti anni e quindi con una conoscenza approfondita della città. Soprattutto era l'antagonista di un'immagine di politico come quella di Alfredo Cazzola, suo avversario nelle elezioni comunali. Un uomo ricco, con le mani in pasta un pò dappertutto, amato da molti bolognesi perchè, dicono, "è uno che si è fatto da solo". Sicuramente un uomo del fare, come recitava lo slogan della sua campagna elettorale.
Un Berlusconi in miniatura, pensavo io, e uno a grandezza naturale basta e avanza.

Comunque, Delbono ha vinto le elezioni il 22 giugno con il 60% dei voti e oggi si dimette, travolto da uno scandalo che mescola vicende pubbliche e private.
Benchè sabato, dopo l'interrogatorio del pm, avesse dichiarato che non si sarebbe dimesso "nemmeno in caso di rinvio a giudizio", oggi la decisione è stata differente.

Sono principalmente due le sensazioni che, da bolognese doc, sto provando in questo momento.
Delusione, per una politica nella quale è ormai impossibile credere, per una classe dirigente che delude, a destra come a sinistra alla stessa maniera.
E lungi da me cadere nel tranello del "tanto sono tutti uguali", ma è davvero sempre più difficile non pensarlo.
E poi provo rabbia, per questa mentalità tutta italiana da furbetto del quartierino, che si sente il più forte e il più dritto di tutti ed è convinto di poter fare sempre i propri interessi perchè tanto nessuno verrà mai a scoprire le malefatte.

Adesso quasi quasi esco di casa e vado al bar qui sotto a sentire cosa ne pensano gli umarell e le zdaure ( i vecchietti e le vecchiette, N.d.T) bolognesi, perchè si sa che la saggezza, quella vera, a Bologna risiede nei bar, nei circoli Arci e nelle Bocciofile.

sabato 23 gennaio 2010

Ho appena letto questo articolo sul sito di Internazionale. Una riflessione interessante sul ruolo e l'etica del giornalismo in occasione di eventi tragici come quello del terremoto ad Haiti.


Troppi giornalisti ad Haiti

“La catastrofe che ha colpito Haiti pone delle importanti questioni al giornalismo. È necessario che ci siano dei limiti fatti di rispetto e di responsabilità. Bisogna che le informazioni siano inquadrate in un contesto corretto senza scadere nel voyeurismo. Non ci saranno troppi giornalisti ad Haiti?”, si chiede Le Devoir.

Sul sito del giornale canadese è scoppiata la polemica tra i lettori: ci sono effettivamente troppi giornalisti? Sono d’intralcio all’organizzazione degli aiuti internazionali? “I reporter sono indispensabili per la copertura mediatica e quindi per sensibilizzare il mondo, sia le persone comuni sia i governi. Il loro ruolo è quello di andare sul posto e verificare che la realtà non sia deformata da racconti che vengono diffusi senza controllo. Ma in questi giorni abbiamo visto delle scene scioccanti. Giornalisti che per riprendere le operazioni di salvataggio le rallentavano, per esempio”, continua Le Devoir.

Tuttavia secondo il giornale canadese “sarebbe molto peggio se la stampa non fosse lì a raccontare e a monitorare la situazione”. La rivista statunitense New Republic è molto più critica: “La copertura mediatica della crisi umanitaria ad Haiti è stata a dir poco ridondante. Le decine di reportage che arrivano da Haiti stanno mettendo a dura prova una situazione già abbastanza fragile”.

Secondo New Republic trasportare e mentenere le centinaia di giornalisti che sono ad Haiti in questo momento “non è un gioco che costa poco”. “La Cnn e la Cbs hanno cinquanta inviati sul posto in queste ore, Fox venticinque. E ogni rete televisiva che si rispetti ha un numero simile di persone impiegate a seguire questa storia. I quotidiani sono più parchi, per esempio il New York Times e il Washington Post hanno dieci giornalisti. Vista la situazione drammatica del paese è difficile credere che la presenza così massiccia della stampa non stia ritardando l’arrivo degli aiuti e degli operatori umanitari. C’è scarsità di alloggi ad Haiti, ma anche scarsità di alimenti e di acqua. Tutti questi giornalisti finiscono per sottrarre risorse ai sopravvissuti del terremoto”.

Per evitare di creare ulteriori difficoltà, New Republic suggerisce di costituire dei pool – cioè delle squadre di giornalisti che producono contenuti per più di una testata – e di annullare in questo modo la competizione tra le diverse emittenti. “Invece di creare un problema logistico ogni volta che un disastro naturale si abbatte su qualche area del mondo, si potrebbe utilizzare questo protocollo di lavoro che è usato normalmente in altri contesti”, conclude New Republic.

giovedì 21 gennaio 2010

Operazione "Piombo Fuso", il film documentario

Qualche giorno fa sono stata alla presentazione del film "Piombo Fuso", di Stefano Savona.
Come molti ricorderanno, Operazione "Piombo Fuso" fu il nome dato dalle forze armate israeliane all'attacco alla Striscia di Gaza che iniziò il 27 dicembre 2008 e si concluse il 6 gennaio 2009, con l'intento di colpire duramente l'amministrazione di Hamas e generare una situazione di maggiore sicurezza nella Striscia.
I bombardamenti cessarono grazie a una risoluzione dell'ONU e, in seguito, alla Conferenza di Pace di Sharm El Sheikh, ma l'operazione militare provocò circa 1203 vittime palestinesi, tra le quali 410 bambini, e 13 morti israeliani.

Stefano Savona è un regista indipendente di film documentari ed è stato uno dei pochissimi operatori a riuscire a entrare nella Striscia di Gaza durante gli ultimi giorni dell'Operazione "Piombo Fuso". Ha così potuto documentare attraverso le immagini la vita quotidiana a Gaza, la distruzione degli edifici e la morte dei civili, il bombardamento di obiettivi tutt'altro che militari (come un campo da calcio) e l'ipocrisia delle dichiarazioni rilasciate dai politici israeliani.

Nel film i dialoghi sono quasi inesistenti, non c'è una voce fuori campo nè alcun tipo di musica di sottofondo, fatta eccezione per il rumore dello scoppio delle bombe e il sibilo continuo provocato dai droni che sorvolano la Striscia.
E' la potenza delle immagini a travolgerci, a farci tenere gli occhi sbarrati per un'ora e mezza; le parole sarebbero superflue e inadeguate.
Le immagini, i volti, i panorami di case distrutte rimangono impressi nella nostra mente.


Con questo film documentario, già vincitore del premio speciale della giuria al Festival del film di Locarno e di numerosi altri riconoscimenti, Stefano Savona ci ricorda la violenza e l'ingiustizia che hanno caratterizzato l'Operazione "Piombo Fuso" che, a solo un anno di distanza, rischia già di essere dimenticata.

Come sosteneva Roland Barthes, "la veggenza del Fotografo (o in questo caso del regista) non consiste tanto nel vedere, quanto piuttosto nel trovarsi là."

venerdì 15 gennaio 2010

Lavori in corso

Chiedo umilmente perdono se in questo periodo sono a dir poco evanescente, sia sul blog che nella vita reale.

Lo scorso weekend ho imbiancato (eccezion fatta per una parete che è stata dipinta color giallo canarino!), sistemato, pulito, quella che da lunedì è ufficialmente la mia nuova casa. In rue San Donato.

Chiunque mi conosca sa che io non riesco mai a fare una cosa alla volta, senza corse contro il tempo e senza ansie. Certo che no, io sono una specialista nel fare le cose "alla carlona" come si dice a Bologna; cioè in modo a dir poco approssimativo.

Quindi mi sono lanciata nell'impresa di ridipingere la stanza, traslocare, dare gli ultimi esami e, bien sûr, continuare a lavorare. Tutto contemporaneamente.

Comprenderete dunque quanto in questo periodo possa essere incasinata.

Lunedì a mezzanotte sono entrata nella nuova stanza con un paio di valigie, i libri e il fedelissimo Mac. Le valigie giacciono ancora sul pavimento, aperte. I libri e il Mac, invece, stati accuratamente riposti.

Fa un effetto strano svegliarsi alla mattina, guardare fuori dalla finestra e non avere più davanti agli occhi quella vista alla quale eravamo tanto abituati.
Mi era già successo quando ero in Erasmus a Lione, ma quello che si vedeva dalla finestra della mia stanza era così meraviglioso che non avrebbe potuto farmi rimpiangere nulla. E poi si trattava di una situazione transitoria, sapevo che dopo qualche mese sarei tornata alle mie abitudini.

Ora, invece, è tutto un pò diverso.
La vista è meno bella, palazzi e non più alberi o il fiume, ma l'idea che questa potrebbe essere la mia casa per un tempo più lungo.
A volte mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, a volte ne sono certa e due secondi dopo sono sicura del contrario.
Però guardare questa stanza che ogni giorno che passa diventa sempre un pò più mia, guardare la parete gialla dipinta con tanta cura, condividere la quotidianità con un'amica, mi rende felice.

Starò mica crescendo, eh?

domenica 10 gennaio 2010

Film della settimana: "Soul Kitchen"



Del regista e sceneggiatore tedesco di origine turca Fatih Akin in passato avevo visto due film: "La sposa turca" e "Ai confini del paradiso".
Entrambi mi erano piaciuti moltissimo, benchè le tematiche trattate fossero in tutti e due i casi drammatiche e impegnative.

Quando ho visto il trailer di "Soul Kitchen", l'impressione che il regista avesse cambiato stile e soggetto rispetto ai film precedenti è stata immediata. Soltanto guardando quel breve video mi sono ritrovata prima a sorridere, poi a ridere di gusto.
Non potevo perdermelo.

In una Amburgo grigia e cosmopolita si sviluppano le avventure di Zinos, un cuoco di origine greca, e di tutti i personaggi che sono legati a lui o al suo ristorante, il Soul Kitchen.
In un susseguirsi di eventi a volte esilaranti, a volte drammatici, a volte surreali, Fatih Akin racconta semplicemente la vita.

Abbandonati i toni drammatici degli altri due film, "Soul Kitchen" è una commedia dal ritmo vivace ed energico, grazie anche all'uso costante della musica rock come colonna sonora.
Da vedere se avete voglia di un film allegro, intelligente e ben fatto, se avete voglia di ridere.

giovedì 7 gennaio 2010

Approdata a Bologna dopo qualche giorno passato sulle gelide Dolomiti, ho trascorso buona parte del pomeriggio a passare in rassegna i siti internet e i blog che leggo abitualmente alla ricerca di articoli e notizie interessanti.
Ho trovato questo sul solito sito del solito Internazionale, senza i quali sarei inesorabilmente persa!
Per noi aspiranti giornalisti o simili, e soprattutto per me irrecuperabile prolissa, è quasi illuminante.


Informazione: poche parole ma buone

Una delle ragioni della crisi dei giornali tradizionali, secondo il fondatore di Slate Michael Kinsley, è l’eccessiva lunghezza degli articoli. “Su internet, invece, gli articoli vanno subito al sodo”, scrive Kinsley sull’Atlantic Monthly.

“Scrivere per un giornale significa seguire delle regole e delle convenzioni molto rigide, che non necessariamente aiutano nella comprensione immediata della notizia. La colpa non è dei giornalisti: le convenzioni sono stabilite da una tradizione che è abbastanza ingessata e detta legge. Un tempo questa abbondanza di parole non necessarie era considerata un progresso rispetto alla notizia secca. La regola era: ‘Non raccontare la storia, ma spiega al lettore il suo significato’. Ma questa consuetudine di fornire ‘un contesto’ è diventata invece un invito a gonfiare le storie”, afferma Kinsley.

Nei giornali c’è una regola per cui l’ultimo aggiornamento di una storia dev’essere coprensibile anche da chi non ha seguito l’intera vicenda. Quindi ogni notizia è ricostruita in modo che “anche chi è appena uscito dal coma” possa capirla. Ma questo ha portato alla diffusione di articoli che ripetono all’infinito la stessa storia aggiungendo ogni volta solo qualche piccola novità.

Secondo Kinsley, inoltre, il ricorso a citazioni e a virgolettati per riportare il parere di esperti e osservatori imparziali è un altro dispendio inutile di parole e di spazio. “A volte la frase in cui si presenta l’autore è più lunga della citazione che gli si attribuisce. Oppure si citano illustri sconosciuti con l’unico scopo di avvalorare la tesi del giornalista e di dare l’impressione di essere oggettivi”.

“Quando ho cominciato a fare il giornalista al Royal Oak Daily Tribune, in Michigan, il caporedattore mi disse: ‘Ogni parola che tagli sono soldi risparmiati per l’editore’. All’epoca non mi sembrava un’idea molto nobile sacrificare le mie parole per far guadagnare l’editore. Ma per i giornalisti di oggi la questione è molto più delicata”, conclude Kinsley.