sabato 30 gennaio 2010

L'arte di raccontare storie

Il 27 gennaio, a San Francisco, Steve Jobs ha presentato l' iPad, il tablet di casa Apple a lungo annunciato e finalmente svelato.
L' ultima creazione della casa di Cupertino ha conquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, che le hanno dedicato articoli approfonditi, e su di essa sono stati espressi giudizi contrastanti.
Nonostante questo, non è dell'iPad che vorrei parlare, bensì del creatore e mentore della Apple: Steve Jobs.

Qualche mese fa, leggevo per la mia tesi un libro di Christian Salmon intitolato "Storytelling - La fabbrica delle storie".
Salmon mostra come l'arte primordiale di raccontare storie sia stata trasformata, a partire dagli anni '90 del Novecento, in America come in Europa, in una potentissima arma di persuasione.
Lo "storytelling" è dunque un capacità narrativa che, posta nelle mani dei guru del marketing e della comunicazione, o in quelle degli spin doctors, è in grado di plasmare le opinioni dei consumatori e dei cittadini.
L'autore svela nel suo libro, frutto di una lunga inchiesta dedicata alle numerose azioni del fenomeno, questo incredibile inganno ai danni dell'immaginario collettivo.

E qui torniamo a Steve Jobs.
Salmon cita il suo discorso agli studenti di Stanford, pronunciato il 12 giugno 2005 in occasione della cerimonia per le lauree, come esempio lampante del fenomeno dello storytelling.

Che Jobs sia un incredibile affabulatore, è sicuro; credo però che, in questo discorso, superi se stesso.
Vedere per credere.






mercoledì 27 gennaio 2010

Di Noemi Letizia e iMussolini

Non bastava il cielo grigio ormai perenne, la neve, il freddo gelido e l'idea dell'ennesima giornata di studio matto e disperato a rendere complicato il mio risveglio.
No, perchè io ho la sanissima abitudine di leggere i quotidiani on-line (Repubblica e Corriere della Sera, principalmente) mentre sorseggio il caffelatte.
Risultato: spesso rischio di rovesciarlo sul computer per i sussulti provocati dalle notizie che mi si parano davanti agli occhi.
Forse dovrei porre fine a tale rito mattutino.
Questo è uno di quei giorni in cui ne sono davvero convinta.

Per farvi capire per quale motivo, sottopongo alla vostra attenzione due articoli che ho appena letto su Repubblica.it.

Il primo è relativo all'applicazione per l'iPhone chiamata iMussolini,
scaricando la quale si possono ascoltare, leggere e vedere tutti i suoi discorsi sul telefonino. E poichè è anche economica (costa solo 79 centesimi), è il secondo programma più scaricato negli Apple Store. Impossibile farne a meno.
Il programma è stato ideato da un imprenditore napoletano venticinquenne che, per evitare troppe polemiche (come l'accusa di apologia del fascismo), sta pensando di crearne uno anche su Gandhi. Per par condicio.

Non ci credete? All'inizio non ci riuscivo nemmeno io, poi ho letto l'articolo.

La seconda notizia riguarda Noemi Letizia, che si sta preparando a fare il suo debutto in Rai.
Dopo le elezioni regionali, però, per evitare scandali sgraditi al premier. E non sulle reti Mediaset, per non suscitare il sospetto che le venga fornita una corsia preferenziale.
Lascio a voi i commenti.


lunedì 25 gennaio 2010

News da Bologna - Nius da Bulàgna

Grandi sconvolgimenti politici si stanno verificando, qui a Bologna City: il sindaco Flavio Delbono, del Partito Democratico, sta per annunciare le sue dimissioni.
Delbono è sotto inchiesta per peculato, abuso d'ufficio e truffa in relazione ad alcuni viaggi fatti quando era vicepresidente della Regione insieme alla ex segretaria ed ex compagna Cinzia Cracchi, pare a spese della Regione stessa.
Travolto dal "Cinzia-gate", come è stato etichettato dai giornali, pare ormai certo che il sindaco darà le sue dimissioni oggi pomeriggio in Consiglio comunale.

Benessum, dicono a Bologna. Fantastico.

Ennesima delusione politica ed ennesima sensazione di avere sprecato un voto.
E io che ero tornata apposta da Lione per votarlo...

Non che conoscessi bene Delbono, ma mi sembrava comunque una persona intelligente, bolognese adottivo da molti anni e quindi con una conoscenza approfondita della città. Soprattutto era l'antagonista di un'immagine di politico come quella di Alfredo Cazzola, suo avversario nelle elezioni comunali. Un uomo ricco, con le mani in pasta un pò dappertutto, amato da molti bolognesi perchè, dicono, "è uno che si è fatto da solo". Sicuramente un uomo del fare, come recitava lo slogan della sua campagna elettorale.
Un Berlusconi in miniatura, pensavo io, e uno a grandezza naturale basta e avanza.

Comunque, Delbono ha vinto le elezioni il 22 giugno con il 60% dei voti e oggi si dimette, travolto da uno scandalo che mescola vicende pubbliche e private.
Benchè sabato, dopo l'interrogatorio del pm, avesse dichiarato che non si sarebbe dimesso "nemmeno in caso di rinvio a giudizio", oggi la decisione è stata differente.

Sono principalmente due le sensazioni che, da bolognese doc, sto provando in questo momento.
Delusione, per una politica nella quale è ormai impossibile credere, per una classe dirigente che delude, a destra come a sinistra alla stessa maniera.
E lungi da me cadere nel tranello del "tanto sono tutti uguali", ma è davvero sempre più difficile non pensarlo.
E poi provo rabbia, per questa mentalità tutta italiana da furbetto del quartierino, che si sente il più forte e il più dritto di tutti ed è convinto di poter fare sempre i propri interessi perchè tanto nessuno verrà mai a scoprire le malefatte.

Adesso quasi quasi esco di casa e vado al bar qui sotto a sentire cosa ne pensano gli umarell e le zdaure ( i vecchietti e le vecchiette, N.d.T) bolognesi, perchè si sa che la saggezza, quella vera, a Bologna risiede nei bar, nei circoli Arci e nelle Bocciofile.

sabato 23 gennaio 2010

Ho appena letto questo articolo sul sito di Internazionale. Una riflessione interessante sul ruolo e l'etica del giornalismo in occasione di eventi tragici come quello del terremoto ad Haiti.


Troppi giornalisti ad Haiti

“La catastrofe che ha colpito Haiti pone delle importanti questioni al giornalismo. È necessario che ci siano dei limiti fatti di rispetto e di responsabilità. Bisogna che le informazioni siano inquadrate in un contesto corretto senza scadere nel voyeurismo. Non ci saranno troppi giornalisti ad Haiti?”, si chiede Le Devoir.

Sul sito del giornale canadese è scoppiata la polemica tra i lettori: ci sono effettivamente troppi giornalisti? Sono d’intralcio all’organizzazione degli aiuti internazionali? “I reporter sono indispensabili per la copertura mediatica e quindi per sensibilizzare il mondo, sia le persone comuni sia i governi. Il loro ruolo è quello di andare sul posto e verificare che la realtà non sia deformata da racconti che vengono diffusi senza controllo. Ma in questi giorni abbiamo visto delle scene scioccanti. Giornalisti che per riprendere le operazioni di salvataggio le rallentavano, per esempio”, continua Le Devoir.

Tuttavia secondo il giornale canadese “sarebbe molto peggio se la stampa non fosse lì a raccontare e a monitorare la situazione”. La rivista statunitense New Republic è molto più critica: “La copertura mediatica della crisi umanitaria ad Haiti è stata a dir poco ridondante. Le decine di reportage che arrivano da Haiti stanno mettendo a dura prova una situazione già abbastanza fragile”.

Secondo New Republic trasportare e mentenere le centinaia di giornalisti che sono ad Haiti in questo momento “non è un gioco che costa poco”. “La Cnn e la Cbs hanno cinquanta inviati sul posto in queste ore, Fox venticinque. E ogni rete televisiva che si rispetti ha un numero simile di persone impiegate a seguire questa storia. I quotidiani sono più parchi, per esempio il New York Times e il Washington Post hanno dieci giornalisti. Vista la situazione drammatica del paese è difficile credere che la presenza così massiccia della stampa non stia ritardando l’arrivo degli aiuti e degli operatori umanitari. C’è scarsità di alloggi ad Haiti, ma anche scarsità di alimenti e di acqua. Tutti questi giornalisti finiscono per sottrarre risorse ai sopravvissuti del terremoto”.

Per evitare di creare ulteriori difficoltà, New Republic suggerisce di costituire dei pool – cioè delle squadre di giornalisti che producono contenuti per più di una testata – e di annullare in questo modo la competizione tra le diverse emittenti. “Invece di creare un problema logistico ogni volta che un disastro naturale si abbatte su qualche area del mondo, si potrebbe utilizzare questo protocollo di lavoro che è usato normalmente in altri contesti”, conclude New Republic.

giovedì 21 gennaio 2010

Operazione "Piombo Fuso", il film documentario

Qualche giorno fa sono stata alla presentazione del film "Piombo Fuso", di Stefano Savona.
Come molti ricorderanno, Operazione "Piombo Fuso" fu il nome dato dalle forze armate israeliane all'attacco alla Striscia di Gaza che iniziò il 27 dicembre 2008 e si concluse il 6 gennaio 2009, con l'intento di colpire duramente l'amministrazione di Hamas e generare una situazione di maggiore sicurezza nella Striscia.
I bombardamenti cessarono grazie a una risoluzione dell'ONU e, in seguito, alla Conferenza di Pace di Sharm El Sheikh, ma l'operazione militare provocò circa 1203 vittime palestinesi, tra le quali 410 bambini, e 13 morti israeliani.

Stefano Savona è un regista indipendente di film documentari ed è stato uno dei pochissimi operatori a riuscire a entrare nella Striscia di Gaza durante gli ultimi giorni dell'Operazione "Piombo Fuso". Ha così potuto documentare attraverso le immagini la vita quotidiana a Gaza, la distruzione degli edifici e la morte dei civili, il bombardamento di obiettivi tutt'altro che militari (come un campo da calcio) e l'ipocrisia delle dichiarazioni rilasciate dai politici israeliani.

Nel film i dialoghi sono quasi inesistenti, non c'è una voce fuori campo nè alcun tipo di musica di sottofondo, fatta eccezione per il rumore dello scoppio delle bombe e il sibilo continuo provocato dai droni che sorvolano la Striscia.
E' la potenza delle immagini a travolgerci, a farci tenere gli occhi sbarrati per un'ora e mezza; le parole sarebbero superflue e inadeguate.
Le immagini, i volti, i panorami di case distrutte rimangono impressi nella nostra mente.


Con questo film documentario, già vincitore del premio speciale della giuria al Festival del film di Locarno e di numerosi altri riconoscimenti, Stefano Savona ci ricorda la violenza e l'ingiustizia che hanno caratterizzato l'Operazione "Piombo Fuso" che, a solo un anno di distanza, rischia già di essere dimenticata.

Come sosteneva Roland Barthes, "la veggenza del Fotografo (o in questo caso del regista) non consiste tanto nel vedere, quanto piuttosto nel trovarsi là."

venerdì 15 gennaio 2010

Lavori in corso

Chiedo umilmente perdono se in questo periodo sono a dir poco evanescente, sia sul blog che nella vita reale.

Lo scorso weekend ho imbiancato (eccezion fatta per una parete che è stata dipinta color giallo canarino!), sistemato, pulito, quella che da lunedì è ufficialmente la mia nuova casa. In rue San Donato.

Chiunque mi conosca sa che io non riesco mai a fare una cosa alla volta, senza corse contro il tempo e senza ansie. Certo che no, io sono una specialista nel fare le cose "alla carlona" come si dice a Bologna; cioè in modo a dir poco approssimativo.

Quindi mi sono lanciata nell'impresa di ridipingere la stanza, traslocare, dare gli ultimi esami e, bien sûr, continuare a lavorare. Tutto contemporaneamente.

Comprenderete dunque quanto in questo periodo possa essere incasinata.

Lunedì a mezzanotte sono entrata nella nuova stanza con un paio di valigie, i libri e il fedelissimo Mac. Le valigie giacciono ancora sul pavimento, aperte. I libri e il Mac, invece, stati accuratamente riposti.

Fa un effetto strano svegliarsi alla mattina, guardare fuori dalla finestra e non avere più davanti agli occhi quella vista alla quale eravamo tanto abituati.
Mi era già successo quando ero in Erasmus a Lione, ma quello che si vedeva dalla finestra della mia stanza era così meraviglioso che non avrebbe potuto farmi rimpiangere nulla. E poi si trattava di una situazione transitoria, sapevo che dopo qualche mese sarei tornata alle mie abitudini.

Ora, invece, è tutto un pò diverso.
La vista è meno bella, palazzi e non più alberi o il fiume, ma l'idea che questa potrebbe essere la mia casa per un tempo più lungo.
A volte mi chiedo se ho fatto la scelta giusta, a volte ne sono certa e due secondi dopo sono sicura del contrario.
Però guardare questa stanza che ogni giorno che passa diventa sempre un pò più mia, guardare la parete gialla dipinta con tanta cura, condividere la quotidianità con un'amica, mi rende felice.

Starò mica crescendo, eh?

domenica 10 gennaio 2010

Film della settimana: "Soul Kitchen"



Del regista e sceneggiatore tedesco di origine turca Fatih Akin in passato avevo visto due film: "La sposa turca" e "Ai confini del paradiso".
Entrambi mi erano piaciuti moltissimo, benchè le tematiche trattate fossero in tutti e due i casi drammatiche e impegnative.

Quando ho visto il trailer di "Soul Kitchen", l'impressione che il regista avesse cambiato stile e soggetto rispetto ai film precedenti è stata immediata. Soltanto guardando quel breve video mi sono ritrovata prima a sorridere, poi a ridere di gusto.
Non potevo perdermelo.

In una Amburgo grigia e cosmopolita si sviluppano le avventure di Zinos, un cuoco di origine greca, e di tutti i personaggi che sono legati a lui o al suo ristorante, il Soul Kitchen.
In un susseguirsi di eventi a volte esilaranti, a volte drammatici, a volte surreali, Fatih Akin racconta semplicemente la vita.

Abbandonati i toni drammatici degli altri due film, "Soul Kitchen" è una commedia dal ritmo vivace ed energico, grazie anche all'uso costante della musica rock come colonna sonora.
Da vedere se avete voglia di un film allegro, intelligente e ben fatto, se avete voglia di ridere.

giovedì 7 gennaio 2010

Approdata a Bologna dopo qualche giorno passato sulle gelide Dolomiti, ho trascorso buona parte del pomeriggio a passare in rassegna i siti internet e i blog che leggo abitualmente alla ricerca di articoli e notizie interessanti.
Ho trovato questo sul solito sito del solito Internazionale, senza i quali sarei inesorabilmente persa!
Per noi aspiranti giornalisti o simili, e soprattutto per me irrecuperabile prolissa, è quasi illuminante.


Informazione: poche parole ma buone

Una delle ragioni della crisi dei giornali tradizionali, secondo il fondatore di Slate Michael Kinsley, è l’eccessiva lunghezza degli articoli. “Su internet, invece, gli articoli vanno subito al sodo”, scrive Kinsley sull’Atlantic Monthly.

“Scrivere per un giornale significa seguire delle regole e delle convenzioni molto rigide, che non necessariamente aiutano nella comprensione immediata della notizia. La colpa non è dei giornalisti: le convenzioni sono stabilite da una tradizione che è abbastanza ingessata e detta legge. Un tempo questa abbondanza di parole non necessarie era considerata un progresso rispetto alla notizia secca. La regola era: ‘Non raccontare la storia, ma spiega al lettore il suo significato’. Ma questa consuetudine di fornire ‘un contesto’ è diventata invece un invito a gonfiare le storie”, afferma Kinsley.

Nei giornali c’è una regola per cui l’ultimo aggiornamento di una storia dev’essere coprensibile anche da chi non ha seguito l’intera vicenda. Quindi ogni notizia è ricostruita in modo che “anche chi è appena uscito dal coma” possa capirla. Ma questo ha portato alla diffusione di articoli che ripetono all’infinito la stessa storia aggiungendo ogni volta solo qualche piccola novità.

Secondo Kinsley, inoltre, il ricorso a citazioni e a virgolettati per riportare il parere di esperti e osservatori imparziali è un altro dispendio inutile di parole e di spazio. “A volte la frase in cui si presenta l’autore è più lunga della citazione che gli si attribuisce. Oppure si citano illustri sconosciuti con l’unico scopo di avvalorare la tesi del giornalista e di dare l’impressione di essere oggettivi”.

“Quando ho cominciato a fare il giornalista al Royal Oak Daily Tribune, in Michigan, il caporedattore mi disse: ‘Ogni parola che tagli sono soldi risparmiati per l’editore’. All’epoca non mi sembrava un’idea molto nobile sacrificare le mie parole per far guadagnare l’editore. Ma per i giornalisti di oggi la questione è molto più delicata”, conclude Kinsley.